Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Trento, 3 febbraio 2002 È passata una settimana dall'episodio che mi ha visto involontario protagonista durante il convegno al centro S. Chiara di Trento su "Globalizzazione e qualità della vita, agricoltura e sicurezza alimentare". Quella vicenda ha avuto grande eco sulla stampa locale e nazionale e anche sui mass media radiotelevisivi, ben al di là delle mie intenzioni. Personalmente, mi ero limitato a stigmatizzare l'accaduto, a invitare tutti i presenti a continuare tranquillamente i lavori del Convegno (che è durato cinque ore con decine di interventi), a preannunciare subito la mia volontà di non dare seguito a iniziative giudiziarie, che pure mi venivano sollecitate dagli organi competenti. In questa settimana molti mi hanno telefonato e scritto personalmente, altri mi hanno espresso le loro opinioni sia a Trento che a Roma. I giornali locali hanno riportato numerose dichiarazioni e interventi, che ho letto con rispetto e attenzione, anche quando esprimevano valutazioni diverse dalle mie. Ho riflettuto a lungo, pur continuando senza interruzione il mio impegno politico e istituzionale e cercando, soprattutto, di non coltivare nel mio animo risentimenti di sorta, pur nella amarezza per quanto accaduto. In un testo pubblicato prima del G8 di Genova, nel luglio 2001, avevo scritto: "Sviluppo sostenibile, rapporti tra Nord e Sud del mondo, rapporti Est-Ovest, OGM, sicurezza alimentare, biotecnologie, diritti civili e umani, società multietniche, tutela delle minoranze, mercato delle armi, prevenzione dei conflitti e molti altri ancora: questi sono i problemi posti all'ordine del giorno dalla 'globalizzazione'. Problemi che riguardano non solo i governi ma anche i popoli, non solo i grandi sistemi economici sviluppati, ma anche e particolarmente l'iceberg del sottosviluppo, non solo le grandi democrazie occidentali, ma anche i sistemi politici dove la tutela dei diritti civili e umani spesso è ancora tragicamente un optional". Quasi temendo e paventando quello che sarebbe potuto succedere (e che poi, purtroppo, accadde), avevo aggiunto: "Il vertice G8 di Genova rischia di essere affrontato dall'opinione pubblica principalmente come un problema di 'ordine pubblico', mentre in realtà in primo piano devono essere posti i temi della 'globalizzazione dei diritti' e non solo quelli dei mercati economico-finanziari". Paradossalmente, e questa volta non per iniziativa delle forze di polizia, anche il convegno di Trento - su temi fondamentali per la "globalizzazione dei diritti" - ha rischiato di trasformarsi in un problema di "ordine pubblico", proprio ad opera di un gruppo che dichiara di ispirarsi al "no-global" e alla disobbedienza civile. Chi invoca la società civile, ha ignorato la presenza di centinaia di persone della società civile e ha cancellato dall'attenzione dell'opinione pubblica temi fondamentali come gli OGM (organismi geneticamente modificati), la sicurezza alimentare e l'agricoltura biologica, che si pongono a livello non solo locale, ma mondiale in rapporto alla "globalizzazione" e alla vita di miliardi di persone. Tutto questo in nome della contestazione dell'intervento militare in Afghanistan, e rievocando altrettanti "no" ai precedenti interventi in Bosnia e in Kossovo. Non condivido il metodo (per usare un'espressione delicata), ma rispetto le idee diverse dalle mie al riguardo. Mi chiedo - e chiedo ai miei interlocutori "disobbedienti" - che cosa sarebbe successo in quest'ultimo decennio in forza di questa forma di "pacifismo", che definisco ideologico e totalizzante. In Bosnia ci sarebbero ancora i campi di concentramento, l'assedio mortale di Sarajevo e le scorribande assassine di Karadjic e Mladic. In Kossovo ci sarebbe ancora la "pulizia etnica" di Milosevic, che sarebbe ancora il padrone assoluto della Serbia. In Afghanistan avremmo ancora lo spaventoso e disumano regime dei Talebani e Bin Laden a organizzare indisturbato il terrorismo a livello mondiale. Oggi invece, pur fra mille difficoltà e problemi ancora irrisolti, in Bosnia non c'è più guerra e si cerca di ricostruire la convivenza; in Kossovo sono prevalse le posizioni di Rugova; Milosevic è di fronte al tribunale internazionale dell'Aja accusato di genocidio e crimini contro l'umanità, Karadjic e Mladic sono stati finalmente catturati e in Serbia si sta ricostruendo pacificamente un sistema democratico, dopo decenni di dittatura nazional-socialista. In Afghanistan c'è un governo di transizione e sono cominciate, anche qui tra mille difficoltà e problemi, le attività internazionali per garantire la ricostruzione, dopo due decenni di guerre e di regimi totalitari. Il 7 novembre 2001 avevo dichiarato in Parlamento: "La lotta contro il terrorismo internazionale deve essere condotta sul piano politico, diplomatico, economico-finanziario, culturale, sociale, con gli aiuti umanitari, ma anche attraverso l'uso legittimo della forza". E aggiungevo: "Ma sarebbe un gravissimo errore non affrontare contestualmente anche l'iniziativa politica e diplomatica per la pace in Medio Oriente ed un'iniziativa assai più forte e più ampia per gli aiuti umanitari alla popolazione civile dell'Afghanistan". E infine: "Oggi il Parlamento autorizzerà l'Italia all'uso legittimo della forza, ma dobbiamo essere tutti consapevoli che senza l'azione politica, diplomatica, economica e umanitaria, l'uso della forza non potrà risultare vincente e le conseguenze negative potrebbero essere incalcolabili". Di tutto questo in questi mesi ho avuto molte occasioni di discutere apertamente, in molte città italiane e nelle sedi più diverse: politiche, scolastiche, culturali, ecclesiali. Sempre sulla base del confronto tra posizioni diverse, del dialogo con i cittadini e anche con i "no-global", della riflessione storica e della proposta politica e culturale, non delle contrapposizioni ideologiche o delle scomuniche reciproche. Questo è il metodo in cui credo e a cui ho sempre improntato il mio impegno politico e civile e anche la mia riflessione etica e religiosa. Chiunque può dissentire da me e da chiunque altro: troverà sempre in me ascolto per le sue ragioni e volontà anche di farsene carico, poiché la situazione mondiale è più problematica e complessa di qualunque slogan o contrapposizione frontale. Di questo ho anche discusso, facendo parte di una delegazione parlamentare italiana, dal 6 al 13 gennaio con tutti i leaders del Medio Oriente, e in particolare con Arafat (dopo aver attraversato tre posti di blocco militari) e con Peres, che non a caso vedono entrambi l'Italia e l'Europa come interlocutori fondamentali per la pace in quella realtà tragica e martoriata. Per dialogare, tuttavia, bisogna essere disposti almeno in due e senza che nessuno dei due pretenda di essere depositario di una verità assoluta da imporre, con qualunque metodo, all'altro. In realtà, a dialogare e a cercare di individuare e costruire le strade della pace e della convivenza, possiamo essere in molti, purché si sia disposti a interrogarsi e interrogare, prima di giudicare. Marco Boato
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MARCO BOATO |
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